"D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.» Italo Calvino
Ci stiamo facendo domande, credo tante, credo simili.
Le città sono invisibili e dove non lo sono dovrebbero esserlo.
L'invisibilità la percepisco dalla strada silente che passa sotto la finestra della sala, dalle urla assenti del bar all'angolo, dai vicini che non sbattono il portone di ingresso.
Il silenzio e l'immobilità che trovo in questa bolla mi fa prendere una boccata d'aria da notizie che si rincorrono, da opinioni di dilettanti imprecisi che confusi spargono confusione. Da improvvisati.
C'è una irrefrenabile voglia di dire la propria.
E' l'ansia e la paura che fa premere il grilletto delle parole.
Le nostre città sono invisibili come quelle che Marco Polo racconta a Kubla Khan nel libro di Calvino.
E' facile immaginarle come donne le nostre città.
Ognuna con il suo carattere, ognuna con il suo trucco, con le sue scarpe e le sue strade misteriose.
Disorientate e intimamente scosse.
Città invisibili violate da un nemico invisibile.
Durante i conflitti le città vengono bombardate, i fori dei proiettili scrivono sui muri la storia dei giorni di paura.
Il rumore è di casa.
Qui invece c'è silenzio.
Gli hashtag cercano di unirci, il "dove andranno i 25 miliardi" so già che ci dividerà.
Si parla più per professioni che da esseri umani.
Imprenditori, operai, partite iva, chi ha e chi non ha ... :
"tu hai ammortizzatori sociali , io no" è la frase più romantica che ho letto scambiarsi.
Ognuno stretto nel suo egoismo cieco e autogiustificato.
I virus si muovono insieme.
E' il caso di mettere in quarantena anche lui (l'egoismo intendo) se vogliamo vincere la battaglia più invisibile.