“Che bel concerto”
“In realtà sta accordando lo strumento … il concerto non è ancora iniziato”
Tra i 22 e i 25 anni mi sono appassionato di musica indiana.
Ho avuto modo di vedere dal vivo musicisti di livello internazionale, suonatori di sitar, di tabla, di harmonium provenienti da tutto il mondo.
Lo scambio di battute sopra sono la mia (la prima) e quella di un caro amico che mi accompagno’ al primo concerto di sitar che vidi.
Il musicista restò tre quarti d’ora ad accordare il sitar davanti a centinaia di persone in attesa.
Al mio stupore seguì una altra domanda : “ Ma non poteva accordarlo prima?”
“Lo strumento va accordato nell’ambiente dove suonerà, deve assorbire l’umore dello spazio e le vibrazioni degli ascoltatori, il sitar è fatto di corde e legno e per liberare il suono più vero deve mettersi in relazione con ciò che lo circonda e con l’esatto momento del giorno ” fu la risposta.
Parole che ricordo ancora oggi e che mi fecero reagire come ogni altra mente occidentale alla sua “prima” di musica indiana : “ Ma quanto cazz dura un concerto?”
Inutile riportare la discussione che ne seguì sulla differente concezione del tempo tra l’est e l’ovest del mondo e cosa volesse dire stare seduti a terra a gambe incrociate per diverse ore.
Ciò che mi colpì fu quel momento di preparazione che sarebbe sfumato nella vera performance.
Il musicista stava vivendo la stessa condizione che sperimenta chi sta per esplodere un talento e che deve prendere confidenza con un mondo nuovo.
L’esplosione di un talento è preceduta da una fase di accordatura.
Non si fluisce, si è scomodi, si forzano tempi ed azioni per trovare quel suono che diventa nitido solo quando lo strumento sarà pronto.
Si prova e riprova senza trovare il ritmo che si cerca, è una sensazione che nessuno può convincerti a non sentire. Lo sai tu e basta quello.
Se sei abituato a sentirlo, cerchi solo quel suono.