"Ae, fammi l’applauso."
Così, con marcato accento campano, mi saluta l’autista del carro attrezzi che è venuto a prelevarmi ieri mattina sull’A7, quando la macchina di mio padre – presa in prestito perché la mia è in revisione – ha deciso di perdere potenza e fermarsi fortunatamente sull'ultima piazzola prima della barriera di entrata di Milano.
Lui è di Avellino, trasferito in Lombardia da cinque anni per motivi aziendali. Si definisce in esilio forzato, in odore di pensione, con lo sguardo sempre rivolto a Sud e il cuore pieno di orgoglio irpino.
Nei trenta chilometri di viaggio verso il meccanico di famiglia, mi accompagna in un percorso sensoriale dentro la cucina avellinese, condito da rivelazioni leggendarie:
"Sai i tartufi di Alba? "
"Eh" replico io.
"Vengono dall'Irpinia. Li raccolgono lì, poi li seppelliscono ad Alba per fregare i cani da tartufo piemontesi.”
Devo aver avuto un'espressione che gli ha dato soddisfazione, perché non appena termina con i tartufi prosegue con la carne chianina.
"Sai la Chianina? Origine beneventana. Non toscana".
Mi dice che per Pasqua scenderà e schiaffeggiandosi fiero il ventre aggiunge che lo aspettano pranzi "dalle 2 a mezzanotte" ... "che se non te ne vai ti servono ancora il primo".
“Voi lombardi siete fast and furious”
Lo correggo. Non è per tutti così e sebbene il mio stomaco non sia all'altezza del suo, butto li 3/4 nomi di piatti per difendere il territorio.
La noia del contrattempo si smorza grazie a quella voce impastata d’Irpinia.
I suoi ricordi sono come un diesel, partono piano ma poi prendono potenza, e solo all'arrivo dal meccanico li spengono.
A volte le radici hanno un cuore che fa più rumore di un motore acceso.