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Atterrare in Sé Stessi

Atterrare in se stessi è come un viaggio che si è sempre evitato. 
Si sa che c’è, si sa che è importante, ma lo si continua a rimandare, una volta perché non si riescono a trovare le date per incastrarlo tra gli impegni, un’altra perché il biglietto è troppo caro.

Poi un giorno ti ritrovi a scendere. Niente avvisi, niente prenotazioni. 
Scopri che il passaporto non serve, perché quel luogo è sempre stato tuo.

La pista di atterraggio non è morbida. 
È fatta di frammenti: scelte rimandate, errori nascosti, ricordi lasciati a prendere polvere. 
Sono lì, sparsi come bagagli su un nastro trasportatore che non si ferma mai. 
Non li si può ignorare, non li si può perdere.
Bisogna raccoglierli.

C’è paura. 
Ma anche un sollievo sottile, come quando si torna a casa dopo tanto tempo e ci si accorge che la propria camera è ancora al suo posto, anche se in disordine.

Atterrare in se stessi è un viaggio senza timbri sul passaporto, ma con segni indelebili sulla pelle. 
Può far male l’atterraggio, può esaurire il carburante, ma è l’unico modo per ripartire dall’aeroporto della propria anima.

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