Era un sabato mattina, di quelli che iniziano lenti, ma presto si riempí del suono delle campane.
Mi trovavo in chiesa con mio fratello e mio padre, durante una funzione religiosa, non ricordo se un matrimonio o una cresima di qualcuno tra i parenti.
La luce che filtrava dalle vetrate era calma, quasi immobile, ma l’atmosfera all’interno si stava scaldando.
Mia madre era qualche panca più avanti con altri parenti.
Noi maschi di casa, formavamo un blocco compatto. Seduti, seri.
Poi accadde qualcosa.
Due signore anziane, mai viste, iniziarono una gara.
Non una battaglia dichiarata, ma silenziosa e ostinata.
Ogni volta che il coro partiva, una delle due anticipava le parole dell’inno.
Una nota lunga, forte, quasi ostentata esplodeva secondi prima.
Come se volesse dimostrare: ‘io lo so già’.
L’altra, non da meno, ribatteva, cercando di essere ancor più rapida …un coro in anticipo su se stesso.
Passammo gran parte della funzione a ridere e ad evitare di guardarci per non aumentare il volume delle risate come quando tra compagni di banco a scuola si cerca di domare l’inevitabile complicità che porterebbe all’ilarità irrefrenabile.
Non era fede. Non era devozione.
Era ego.
Una battaglia per dimostrare chi fosse la più brava. La più pronta.
La più sul pezzo agli occhi del prete o agli occhi di Dio.
Quella scena mi colpì perché l’ho vista accadere ovunque.
Nei gruppi di lavoro, nelle aziende, nelle famiglie.
Ogni volta che l’ego prende il sopravvento, tutto si rompe.
Ogni “nota” fuori posto è una piccola vittoria personale, ma una grande sconfitta per il gruppo.
Quando l’obiettivo comune viene sacrificato sull’altare dell’ego individuale, tutto perde significato.
È quella sottile linea tra il lavorare insieme e il voler dimostrare a ogni costo di essere un passo avanti agli altri.
Non sono mai stato un amante della competizione.
Preferisco trovare e far trovare “oceani blu”, spazi tranquilli dove poter esprimere ciò che si è e si sa fare bene, senza il bisogno di gareggiare.
La competizione interna, a lungo andare, svuota di senso il fare, riducendolo a una corsa sterile per alimentare l’ego.
Il vero valore emerge quando lasciamo che le note si incontrino, creino armonia, anziché anticiparsi a vicenda.
Forse, il coro avrebbe suonato meglio senza quelle voci fuori tempo.
Perché alla fine non importa chi arriva primo. Importa chi riesce a suonare insieme.