Il labirinto non è uno spazio fisico, ma un intreccio di pensieri e scelte che si dispiegano nella mente.
Ogni decisione, ogni bivio, è un frammento di questo intricato percorso interiore.
Non esiste una mappa né un centro da raggiungere, perché il labirinto che si crea è quotidiano e non ha confini né uscite definitive.
Il suo scopo non è intrappolare, ma rivelare. Ogni svolta è uno specchio che riflette un frammento dell’identità, un’immagine sempre incompleta, che si modifica con il passo successivo.
Non è importante trovare una via d'uscita, perché il fine del labirinto è la scoperta di sé. È nel continuo perdersi che si comprende la natura mutevole e sfuggente di chi si è.
Il percorso non porta a una verità assoluta, ma a una serie infinita di possibilità.
Fidarsi del processo significa accettare che la vita stessa è un labirinto, un fluire senza destinazione precisa.
In questo cammino, l’identità non è un punto fermo, ma qualcosa che si costruisce ad ogni svolta, ad ogni vicolo cieco.
Il labirinto non conduce altrove: è un viaggio che porta, sempre, verso la scoperta di sé, dove perdersi è il primo passo per ritrovarsi.