La domenica mattina si stende lenta, come il fumo di una sigaretta lasciata sul davanzale.
Il sole non c'è, ma non fa né caldo né freddo, e l’aria ha quel profumo che solo le domeniche d’ottobre portano con sé: terra umida e strade bagnate.
Nella piazza, il bar apre presto, ma senza fretta, come tutto il resto.
Le persone sono sedute ancora fuori, con le sedie un po’ storte e le tazzine di caffè strette tra le mani.
Aspettano che la giornata si srotoli da sola, senza alcuna urgenza.
Il silenzio ha un peso diverso, più denso, come se tutti sapessero che non c’è bisogno di parlare.
C’è tempo per farlo, ma nessuno lo fa.
Le domeniche non chiedono parole, solo la pazienza e il desiderio di lasciar passare le ore.
Cammino per strada e sento solo il suono dei miei passi.
Ogni colpo di scarpa rimbalza sui ciottoli.
Le finestre sono aperte, le tende si muovono appena.
Niente sembra cambiato rispetto a ieri, eppure ogni cosa è nuova sotto questa luce morbida e grigia che filtra attraverso i palazzi.
Non è un giorno per fare grandi cose, e forse è proprio per questo che è così prezioso.
La vita si riduce all’essenziale: il calore delle piccole cose sole, l’odore dei pranzi in pentola che riempie l’aria, e il lento ticchettio del tempo che non ha fretta.
Non serve altro.
Basta aspettare, come si aspetta un pesce che morde l’amo, sapendo che alla fine qualcosa verrà, ma senza la fretta di tirare la lenza.
C’è bellezza in questa lentezza.
La bellezza che non si trova nei giorni pieni di urgenza, ma solo in quelli in cui l’unico compito è vivere e respirare.
La domenica mattina dovrebbe essere esattamente così: una piccola tregua in cui tutto è come dovrebbe essere.