Lì, davanti a me, mi fissa con lo stesso sguardo sornione e immutabile, come se il tempo non fosse mai trascorso.
La targa dei gelati anni ’80, un po’ sbiadita e smussata agli angoli, resiste al passare dei decenni, proprio come le amicizie vere, quelle che non giudicano.
Quei gelati, in posa plastica, allineati uno accanto all’altro, hanno il potere magico di spalancare le porte del tempo.
Forse è nostalgia, non saprei dire con certezza, ma c'è qualcosa di rassicurante in quella grafica dai colori pastello.
È come guardare una vecchia foto di famiglia: ingiallita il giusto per sentirla antica, ma troppo preziosa per poterla buttare via.
Dentro ci sono i pomeriggi infiniti d’estate trascorsi al bar, il tintinnio delle monetine sul bancone, e quel ricordo vivido della dolce tensione di dover scegliere.
“Ho 500 lire... Mi prendo un ghiacciolo e tengo il resto? Oppure un cornetto e faccio una partita a flipper? O forse dovrei spendere tutto in un Croccante?”
La vera magia stava lì. L’emozione più autentica era nel rito della scelta.
Erano i primi piccoli bivi che la vita ti poneva davanti. Cosa altro devi scegliere da bambino? Quali decisioni devi prendere?
Davanti a quella targa, ogni decisione sembrava carica di importanza: ogni gelato non era solo un gusto da sperimentare, ma un destino da abbracciare.
Ogni scelta era una piccola avventura, un momento sospeso in cui il mondo si riduceva a quei pochi, intensi secondi di indecisione.
Il Blob, per chi voleva sentirsi adulto e sofisticato. Il Piedone, per i ribelli in cerca di qualcosa di diverso. E il Cucciolone, per chi non riusciva a lasciarsi alle spalle la vicina infanzia, sperando che ogni morso potesse riportarlo all’asilo e sfuggire al destino frenetico di crescere.
Ma l’experience non si esauriva in quel momento, anzi la sfida vera iniziava subito dopo: quando aprivi il congelatore.
Perché scegliere il gelato era solo l’inizio. Il passo decisivo era immergere le mani in quel mare di brina e speranze, alla ricerca del gelato prescelto.
La targa prometteva meraviglie, ma il congelatore ti metteva faccia a faccia con la realtà, e con le prime piccole disillusioni che la vita può regalare.
A volte, il gelato che cercavi ti aspettava, perfettamente incastrato tra due ghiaccioli pronti a ustionarti le mani.
Altre volte, invece, dopo aver frugato tra chili di brina, capivi che il tuo Twister era finito.
Restavi lì, sconfitto, a fissare con disappunto l’ultima coppetta panna e amarena, quella che nessuno voleva... tu compreso.
Era quel senso di possibilità infinita che rendeva tutto magico.
Non era il gelato in sé, ma l’attesa, l’incertezza, quel piccolo dramma che rendeva il primo morso ancora più dolce.
Quando lo stringevi tra le mani, sentivi di aver conquistato qualcosa di speciale.
Quel piccolo trofeo gelido sapeva di gioia, di spensieratezza, di un tempo che sembrava non dover finire mai.
Oggi, guardando quella targa sbiadita, mi è tornato in mente tutto questo…
Ogni momento vissuto, anche il più semplice, può essere eterno.
Perché, in fondo, la vera magia non sta nei ricordi ma nella consapevolezza che il tempo, a suo modo, ci regala ogni giorno l’eternità.