Ho capito che quando si entra in un’azienda bisogna farlo in punta di piedi, qualsiasi sia l’intervento da fare o l’urgenza nel farlo.
Quello che è stato fatto fino a quel punto è frutto di fatica e sudore.
Se le cose non vanno, possono essere stati fatti errori di valutazione dettati dalla mancanza di conoscenze e competenze.
Se le cose vanno possono sempre essere migliorate.
Poche realtà possono ritenersi immuni da sbagli e inesattezze o fregiarsi di una conduzione e gestione perfetta.
Il valore più grande dell’outsider – di colui che viene da fuori letteralmente – quale può essere chi fa il nostro mestiere è avere occhi nuovi per leggere situazioni in una prospettiva diversa, trasferendo esperienza maturata sul campo e know-how in modo distaccato senza lo stesso coinvolgimento emotivo di chi vive l’azienda quotidianamente, ma soprattutto senza essere schiavi di abitudini operative inveterate.
Spesso sono le abitudini operative che devono essere scardinate per apportare cambiamento, freschezza ed evoluzione; sulla carta sembra facile e scontato accettarlo, ma non è così.
Per farlo ci vogliono ingredienti: nuove competenze, volontà, pazienza e perseveranza ma c’è un ingrediente indispensabile che ritengo essere il vero sale della ricetta, senza il quale tutto diventa più difficile e rallentato, l’umiltà.
Non è solo una questione di competenze e conoscenze ma di atteggiamento.
Un pizzico di umiltà è l’enzima accelerante del processo di progresso.