Da ragazzino, un anno di differenza sembrava una distanza enorme.
Bastava quell'anno in più per farti sentire grande, adulto, o se ne avevi uno in meno a sentirti diverso, più piccolo.
Ancora oggi, quando incontro quelle stesse persone, che in realtà sono quasi miei coetanei, mi sorprendo a sentirle ancora più piccole di me.
È una sensazione che non se ne va, come se quell'anno, che da ragazzini faceva tanta differenza, continuasse a segnare un distacco temporale di una ampiezza spropositata.
Quindi i ragazzi che giocavano nei Giovanissimi mentre io giocavo nella categoria Allievi li percepisco non solo come più giovani di me, ma come se fossero ragazzini più dei ragazzini di oggi.
Sono stampati nella mia testa come 'forever younger'.
Eppure, quando mi trovo a collaborare o comunicare con persone che magari hanno 10 o 15 anni in meno, non provo quella sensazione. La differenza d'età è reale, ma non si avverte allo stesso modo.
Non c'è quel senso di distanza, quel sentirsi "più grande" che invece persiste con chi ha solo quell'anno in meno.
È come se, con il tempo, quel piccolo scarto che da ragazzino sembrava enorme avesse acquisito un peso diverso, un potere che continua a influenzare la percezione.
É un riflesso automatico.
Fa sorridere come l’impressione che avevamo da bambini si porti avanti nel tempo, mantenendo viva quella sensazione di essere molto più 'grandi', un po’ più avanti rispetto a chi, per una manciata di mesi, ci appariva più piccolo.