Nell’Autoritratto del Louvre Tintoretto si rappresenta con lo sguardo fermo e consapevole e con una barba non pettinata, lui ha tempo solo per il lavoro.
Utilizza simboli per raccontare il suo genio e la sua indefessa volontà di portare a compimento i suoi obiettivi.
In quelli che possiamo considerare i “selfie” dell’antichità gli artisti cercavano di racchiudere messaggi e significati per raccontarsi ed evidenziare ciò che al proprio pubblico, ma soprattutto ai potenziali committenti, potesse interessare ed essere motivo per farsi scegliere.
Se paragonati all'autoritratto del suo competitor dell’epoca Tiziano (Museo Prado a Madrid) è eclatante la differenza di comunicazione: Tintoretto ti guarda negli occhi e si mette sul tuo stesso piano, Tiziano invece guarda sempre in un punto un po’ più in là, quasi a sottolineare la differenza di livello tra chi lo ammira e lui.
Due approcci differenti di rapportarsi al proprio pubblico e di utilizzare il proprio biglietto da visita.
Stessa cosa facciamo noi in questi tempi moderni.
Le nostre foto sono i ritratti che diamo in pasto al nostro pubblico, quello che scriviamo è il nostro biglietto da visita.
Quando ci rivolgiamo al nostro pubblico da che punto lo guardiamo?
Negli occhi o vogliamo creare un’aurea di superiorità?
Vogliamo farci percepire allo stesso livello o più esperti e capaci?
Vogliamo metterci a nudo o creare un velo di mistero attorno a noi?
Le risposte a queste domande possono essere il timone che dirige la nostra comunicazione di marca, sia aziendale che personale.
Uno degli ingredienti che funziona di più ma che oggi si utilizza di meno è il mistero.
Ciò che appartiene al passato è certamente più oscuro rispetto a ciò che viviamo nel presente, è un dato tecnico; il numero di informazioni oggi a disposizione per conoscere qualcosa o qualcuno sono esponenzialmente maggiori rispetto a quelli in campo negli anni passati, ma ci sono tecniche per creare un alone di imperscrutabilità.
Caravaggio docet.